Dopo la prima parte introduttiva e l’omaggio a Maryam Mirzakhani, in questa seconda parte vi racconto di altre tre donne matematiche a cui devo moltissimo e che ogni giorno ci possono ispirare nel nostro lavoro di insegnanti.
Emma Castelnuovo
Grazie a Emma Castelnuovo perché ci insegna a condurre il nostro lavoro come una continua ricerca didattica.
Un libro tradizionale comincia dalle definizioni e dai concetti generali ma non dimentichiamoci che ciascuna delle nostre definizioni è il risultato di un lavoro durato secoli.
Io non do nessuna definizione, l’alunno dovrà sentire lui stesso la necessità delle definizioni, dovrà formulare lui stesso le definizioni.
In tutta la mia vita da studente, tranne nei rari casi in cui ho incontrato un Grande Maestro, sono stato esposto a una Matematica suddivisa in discipline perfettamente organizzate.
Si cominciava con gli assiomi e per il resto ogni teoria si sviluppava in una sequenza di definizioni e teoremi. C’era qualche esempio semplice e seguivano esercizi complicati. Dal generale al particolare, dalla teoria alla pratica. Forse è così anche oggi.
Mancava la spiegazione del perché l’organizzazione era proprio quella e non un’altra. Cioè mancava il senso di ciò che stavo facendo. Ma soprattutto nessuno mi raccontava come si inventa la matematica.
Mi sentivo come uno che vuole imparare ad andare in bicicletta e per risposta riceve un corso sulla struttura della bicicletta: ruote, manubrio, catena di trasmissione, pedali. Ma non avevo il coraggio di rivelare questo disagio, anzi, mi sentivo persino in colpa per averlo.
Diventato a mia volta insegnante stavo per ripetere lo stesso schema con i miei alunni quando per fortuna mi capitarono tra le mani alcuni libri di Emma Castelnuovo. Emma ha avuto il coraggio di dire che quella impostazione è sbagliata e di mostrare quella giusta.
Emma è una Grande Maestra.
Ora, se una disciplina mi viene somministrata dal generale al particolare, a partire da leggi evidenti, da definizioni e da concetti semplici, non ho la sensazione di poter dare io un contributo a questo studio.
Il mio maestro potrà suggerirmi problemi e applicazioni di quanto ha spiegato, e io potrò con entusiasmo cercare di risolverli, ma, badiamo bene, è un ardore che finisce subito dopo risolto quel problema e rimane legato a quel determinato capitolo, ma non ho l’impressione di essere io a creare tutta la geometria e il susseguirsi dei problemi e dei capitoli.
Tratto da Emma Castelnuovo, Geometria intuitiva, per le scuole medie inferiori, Carrabba, 1948.
Shakuntala Devi
Grazie a Shakuntala Devi perché ci ispira il grande amore per i numeri e la forte determinazione nel fare tanti, ma proprio tanti esercizi.
All’età di tre anni mi innamorai dei numeri.
Era pura estasi per me fare addizioni e ottenere il risultato giusto.
Nei numeri trovavo una sicurezza emotiva: due più due faceva sempre quattro e avrebbe sempre fatto quattro – in qualunque modo fosse cambiato il mondo.
Tratto da Shakuntala Devi, Figuring. The Joy of Numbers, 1977.
Shakuntala Devi riusciva a fare mentalmente calcoli che sembrano assolutamente impossibili per un umano.
Per esempio, in una prova calcolò il prodotto di due numeri di 13 cifre in 28 secondi.
7.686.369.774.870 × 2.465.099.745.779 = 18.947.668.177.995.426.462.773.730
Shakuntala voleva che i numeri su cui operare le fossero dati SENZA i punti separatori delle migliaia, cioè così:
7686369774870 × 2465099745779 = ?
Diceva che i separatori delle migliaia spezzano il numero in modo artificiale (negli Stati Uniti si usano le virgole come separatori delle migliaia).
In un’altra prova estrasse la radice 23-esima di un numero di 201 cifre in 50 secondi.
Il numero n era:
n = 916748676920039158098660927585380162483106680144308622407126516427934657040867096593279205767480806790022783016354924852380335745316935111903596577547340075681688305620821016129132845564805780158806771
E la sua radice 23-esima:
Provate soltanto a leggere il numero di partenza e farvene un’immagine mentale!
Ma, a parte questi casi limite, per lei era normale estrarre mentalmente radici cubiche come questa in pochi secondi.
C’è una grande ricchezza nei numeri: possono prendere vita, cessare di essere simboli scritti sulla lavagna e guidare il lettore in un mondo avventuroso dove i calcoli sono entusiasmanti anziché noiosi.
Tratto da Shakuntala Devi, Figuring. The Joy of Numbers, 1977.
Lo psicologo Arthur Jensen studiò accuratamente le prodigiose abilità di Shakuntala e le confrontò con quelle di altri studenti esperti e allenati ma riuscì a spiegarle solo in parte.
Ecco alcune delle sue conclusioni:
- Shakuntala, a parte la sua fenomenale abilità, aveva una personalità socievole, simpatica, comunicativa, sicuramente non era un autistic savant;
- fin da piccola sviluppò un amore per i numeri che la portò a esercitarsi costantemente ogni giorno e a sviluppare una notevole capacità di concentrazione;
- aveva costruito immagini mentali dei numeri diverse da quelle usate dalla maggior parte di noi;
Per approfondire l’argomento potete leggere l’articolo originale: Arthur R. Jensen, Speed of Information Processing in a Calculating Prodigy, University of California, Berkeley, INTELLIGENCE 14, 259-274, 1990.
Shakuntala Devi scrisse almeno sei libri di giochi ed esercizi matematici e qui mi piace citare quello in cui ella racconta il suo amore per i numeri e spiega alcune delle sue tecniche di calcolo:
Shakuntala Devi, Figuring. The Joy of Numbers, Harper & Row, 1977.
A proposito della moltiplicazione, la cosa più importante da sapere è quella di NON adottare automaticamente un solo metodo. Bisogna invece osservare i numeri e decidere quale dei molti metodi che vi spiegherò è il più veloce e funziona meglio.
Tratto da Shakuntala Devi, Figuring. The Joy of Numbers, 1977.
Vi propongo qui tre problemi tratti da Puzzles to Puzzle You, Shakuntala Devi, 2005.
Suor Mary Kenneth Keller
Grazie a Suor Mary Kenneth Keller per far capire davvero ai nostri alunni cos’è il “coding” e come esso ci può insegnare l’umiltà e la pazienza.
Il computer mi ha aiutata a esercitare due virtù: l’umiltà, perché gli errori non sono della macchina ma del programmatore, e la pazienza, nelle infinite operazioni di debug, nel cercare le linee di codice contenenti errori e correggerle.
Nei lontani anni Ottanta riuscii finalmente a comprarmi un VIC 20. Era un vero computer, piccolo come una tastiera e si poteva collegare al televisore di casa. Era quello più economico ma costava come un mese del mio stipendio da insegnante.
Mi entusiasmò e decisi di usarlo a scuola nelle mie lezioni per insegnare un po’ di programmazione (oggi la chiamano coding). A quel tempo i personal computer si potevano usare SOLO per fare coding e l’unico linguaggio disponibile era il BASIC. Se volevi che il computer facesse qualcosa dovevi scrivere il programma (oggi lo chiamano app).
Credevo di essere all’avanguardia ma non conoscevo il mio grande debito nei confronti di una suora: suor Mary Kenneth Keller, delle Suore della Carità della Beata Vergine Maria.
Fu lei che collaborò con i professori John Kemeny e Thomas Kurtz allo sviluppo del linguaggio BASIC nel 1964.
L’interesse principale della sua vita rimase sempre quello dei computer come supporto all’istruzione e alla formazione di personale capace di sfruttare le potenzialità della rivoluzione informatica.
A presto per la prossima puntata!
Stencil: rielaborazione grafica di Gianfranco Bo